Crescere 2

3 Agosto 2021 1 Di Rosa Iannuzzi
Anno scolastico 1968/1969, seconda elementare

 

Scuola elementare Santorre di Santarosa. Tutte con il grembiule bianco e il fiocco. Calamaio, penna stilografica, cornicette, aste, le bimbe di qua, i maschi di là. Quasi ad anticipare una separazione che sarebbe stata molto più netta nel tempo. A scuola sola con le femmine, il pomeriggio in cortile sola con i maschi. La preferita della maestra aveva le trecce bionde e un sorriso angelico. Chissà forse per questo quasi tutte le mie amiche sono more. Anche se con il tempo i colori hanno cancellato le nostre origini, e attenuato i nostri incanutimenti. Lo zero spaccato che ha marchiato la mia incostante applicazione allo studio, altalenante desiderio di conoscenza e senso di inadeguatezza. Con la consapevolezza di non essere mai brava abbastanza. La madre, la maestra, figure di un femminile inoppugnabile. Mentre l’altra metà del tempo dovevo sgomitare tra le regole di gioco che i ragazzini mettevano in atto nei numerosi pomeriggi passati a giocare in cortile. Su quell’acciottolato ho imparato a difendermi, a rivendicare attenzione e ascolto, per dire la mia sempre e comunque. Ho imparato a non barare, perché se bari sei fuori dal gioco. Ed io non volevo restare fuori. Volevo stare dentro, dentro le regole, dentro lo spazio del cortile delimitato da un lato dalla fabbrica abbandonata e dall’altro dall’angolo che non dovevo oltrepassare, mai. Volevo stare in quello spazio condiviso che nelle ore di luce era nostro, tenendolo stretto affinché tenesse lontano tutte le mie paure: la paura del buio, la paura del vuoto. E l’ho tenuto stretto fino al giorno in cui le ginocchia hanno smesso di sanguinare. E l’ho portato con me, nei ricordi, nella vita.

Scuola elementare Santorre di Santarosa, quartiere San Paolo

Piazza Robilant

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