La mia città, la mia terra, il mio paese

27 Agosto 2021 1 Di Rosa Iannuzzi

La mia città, quella dove sono cresciuta, dove ho mosso i primi passi, dove sono diventata grande.

Dove ho potuto scegliere, chi essere, cosa fare e chi diventare. La città dei fiumi, attraversata dall’acqua, dal suo scorrere lento. La città affascinante e la città operosa, la città silenziosa e la città meravigliosa da scoprire, da percorrere, da vivere, da sentirsi addosso: di giorno, di notte. La città delle meraviglie, dei portici, delle colline e la città delle periferie di quegli anni, compresse e irruenti, asserragliate dalla fabbrica ma brulicanti di possibilità. Periferie apparentemente immobili, ma turbinanti in profondità come l’acqua dei fiumi. Procacciatrici di senso, ardentemente assiepate di corpi, di sguardi, di canti e di gesta. Disseminate di progettualità.

 

 

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La mia città, quella che non riconosco, abbandonata nella decadenza del sogno industriale

e ritrovata ricomposta in un puzzle di dehors, studenti universitari, strade nuove e metropolitana. La nuova città quella mi respinge, che non mi riconosce, che alza un muro a difendere la sua nuova identità, ed io noncurante continuo a percorrerla scoprendo con gioia, i suoi antichi e recenti segreti. Perchè la bellezza non è custodita in ciò che guardi, ma in ciò che vedi. Ed io oggi la vedo, con le sue contraddizioni, attraversata finalmente da mille identità, con le sue sofferenze mal celate, rabbiose e rassegnate al contempo.

 

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La mia terra,  quella che riconosci appena ci capiti, e basta il cielo e la sua vastità,

basta il profilo verde all’orizzonte, che non trova spazio nello sguardo, a sconvolgere ogni volta i sensi. Rinnovando ad ogni primavera il piacere della natura che rinasce, ad ogni estate il cicaleggio ininterrotto del caldo che avanza, ad ogni autunno un affresco di colori che ti permette di sostare nelle sue tonalità infinite, così che quando hai finito di comprenderle ti sorprende l’inverno. La mia terra, quella delle origini paterne e quella della mia adultità: regioni diverse accomunate dal vento, dal profumo, dalla genuinità. Dove sono nati i miei figli, dove ho scomposto e ricomposto il mio stare nel mondo, declinando sempre il verbo amare, affinchè quel turbinio di sentimenti e passione trovasse sempre un tempo dove sostare. La mia terra, quella visitata, osservata, esplorata, dove ho trovato accoglienza. La mia terra che ha generato appartenenze che non erano mie in dote, ma che lo sono diventate amalgamando insieme il saper fare, il saper dire. Dove l’incontro con le persone ha dato fiato ai turbinii della mente, dove l’altro ha riposto fiducia e la fiducia ha gonfiato le vele, così da poter partire ogni volta per la prossima meta. Insieme.

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La mia terra, anche quella dove mi sono sentita ospite

perchè il tempo per creare il legame non c’è stato. Perchè tutto avveniva dopo, e non durante. E il dopo si sa, ha l’ingrato compito di curare le ferite. Anche  questa terra è stata magnanima e sincera. Ed è stata mia, ma per poco. Se l’Umbria è stata la terra del fare, la Toscana è stata quella del dire. In Toscana ho ripreso a fare teatro, sono nate le letture a voce alta – con uno straordinario spettacolo di letture e musica – ho ripreso a scrivere e ho concluso la mia raccolta di racconti. La mia terra, quella che porto sempre con me.

 

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Il mio paese. La casa dove sono nata, le estati trascorse in libertà correndo nei vicoli,

in un sali e scendi infantile e giocoso. I vicoli percorsi a passo svelto nell’età adolescenziale, rincorrendo uno sguardo incrociato la mattina in spiaggia e ritrovato in piazza. La piazza dove immergersi nel chiacchiericcio, il campo dove indossare di nuovo le ginocchiere e saltare, saltare per dire ci sono, io sono qua. Le scale della scuola dove nascondersi agli occhi indiscreti e ritrovare gli amici, con lo sguardo all’insù a catturare una stella.

 

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Il mio paese, dove immergersi in una sonorità linguistica familiare.

Dove ritrovare la possibilità di sospendersi stando così, appoggiata ad un muretto a guardare il paesaggio. Dove restare in piedi, nell’ora del crepuscolo, in silenzio ad ascoltare lo sciabordio delle onde, mentre la linea dell’orizzonte piano piano stempera i suoi colori ed il mare e il cielo diventano sera. Il mio paese, la chiave che apre tutte le porte, lasciandole aperte. Così che chiunque possa venirti a trovare. E restare per contarsela un pò. Il paese ritrovato grazie all’amicizia, quella che resta, che il tempo non cancella. Quella che non chiede prove, che aspetta soltanto che tu ritrovi la strada di casa. L’amicizia che ha un posto a tavola per te, un letto pronto per dormire. E che ogni volta al telefono ti chiede “ma quando arrivi?”

 

Foto 1 Torino – Monte dei Cappuccini visto dal Po

Foto 2 Torino – Mausoleo della Bela Rosin, quartiere Mirafiori Sud

Foto 3 Umbria – località Poggio Mille, Sanfatucchio – Castiglione del Lago (Pg)

Foto 4 Toscana – Panorama dalla città di Chiusi (Si)

Foto 5 Calabria – Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (Cz) (foto di Vincenzo Dominijanni)

Foto 6 Calabria – Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (Cz) panorama dal paese (foto di Vincenzo Dominijanni)

Note: le foto di Vincenzo Dominijanni sono state gentilmente concesse dall’autore.